DIARIO DI VIAGGIO 5. ROCCASCALEGNA.

Il viaggio alla scoperta dell’Abruzzo ci ha portato a Roccascalegna, comune di 1145 abitanti famoso per lo splendido Castello che dalla sommità guarda la valle sottostante. Arrivati nel borgo, siamo stati accolti gentilmente dal sindaco Domenico Giangiordano, un uomo che crede nella propria città e che da tempo è riuscito, con azioni di marketing mirate, a pubblicizzarla tanto da renderla famosa a livello nazionale. Ci ha spiegato nel suo ufficio che Roccascalegna in quattro anni è totalmente cambiata grazie a sponsorizzazioni gratuite attuate con strategie genuine e geniali. Il castello è apparso nel famoso film di Matteo Garrone ” Il cunto de li cunti” ( si può vedere l’immagine del castello sulla parte destra della locandina), è stato protagonista di una puntata di ” Meraviglie” condotta da Alberto Angela con la voce narrante di Francesco Pannofino ed è stato il primo Comune Italiano ad utilizzare il videomapping, trasmettendo direttamente su roccia naturale.
Dopo un buon caffè offerto, io e Francesco ci siamo divisi e, con la guida di un giovane ma esperto ragazzo del luogo ( Samule Cianci), mi sono addentrato tra la bellezza del Castello di Roccascalegna.
Subito entriamo nel vivo delle leggende ( dove io sguazzo) e mi viene spiegato che il proprietario dell’epoca, il Barone Corvo de Corvis, doveva il suo nome al fatto che la gente del luogo aveva l’obbligo di adorare un corvo nero all’entrata del podere. Se il corvo gracchiava, il popolo doveva pagare una tassa. Dopo aver rimesso in vigore lo Ius Primae Noctis ( l’usanza medievale di dover concedere per una notte la novella sposa al nobile del luogo), un contadino geloso si travestì da donna ed entrò nel castello per uccidere il barone: la leggenda narra che la mano insanguinata del nobile restò impressa nel torrione, che, purtroppo, andò distrutto.
Continuando la salita, la giovane guida mi spiegò che la Chiesa di S. Pietro era sotto restauro e che le campane provenivano da Agnone e avevano una particolarità: c’era traccia di oro e argento per la devozione al Santo. Le fondamenta poi del Castello erano molto più basse perchè sono state rinvenute delle cripte contenenti ossa.
Dopo aver fatto una diretta per far conoscere il delizioso panorama che poteva vedersi dal Castello, siamo entrati nelle strutture. Qui ho potuto meravigliarmi di un lanciafiamme bizantino che aveva la particolarità di incendiare la pece ma il fuoco greco ottenuto non poteva essere spento con l’acqua: l’unico metodo era l’ammoniaca, che all’epoca era presente solo… nella pipì!!! Ho visto il bagno da cui si potevano riversare acidi per le invasioni ( non scordiamo che il Castello aveva una funzione totalmente difensiva, e fu costruito appunto per rispettare questa utilità), una cisterna che poteva contenere 20000 litri d’acqua e l’acqua piovana contenuta nel pozzo veniva resa potabile con l’utilizzo di anguille, una cucina con una stanza profonda dieci metri che, avendo temperatura sotto lo zero, era adibita per la conservazione delle carni.
Andando più su, una particolarità della struttura mi è stata spiegata da Samuele: tutto il Castello aveva scale costruite in modo che i cavalieri potessero attaccare naturalmente con la mano destra, dando uno svantaggio al nemico e anche perchè la mano sinistra era considerata la mano del Diavolo.
Usciti fuori, ho ammirato la Chiesa di San Rosario, del 1577, con un altare costruito in modo che il parroco potesse predicare davanti ad esso, poichè non tutti i cittadini potevano essere all’altezza della Parola di Dio.

Alla fine, dopo aver percorso un piccolo e delizioso sentiero botanico, siamo saliti in cima, per ammirare tutta la valle. Lo stupore di poter, con un solo sguardo, accogliere tanta bellezza è riuscito a regalarmi più di un capogiro. Qui, il giovane Samuele mi spiegò le varie teorie del nome della città: Roccascalegna. Le ipotesi più accreditate erano tre: la prima vedeva in un Longobardo di nome Ascani l’attribuzione di gesti nobili, e il titolo quindi di Rocca di Ascani per il borgo, da cui Roccascalegna; la seconda perchè in dialetto “Scarenna” significa scoscesa, e quindi Rocca scoscesa; l’ultima dipendeva dal fatto che per salire sopra la torre bisognava avere una scala di legno, e dunque Rocca scala legno diventava Roccascalegna.
Dopo questa immersione nella cultura locale, di cui sono ghiotto, siamo riscesi ( particolarità: da sotto la salita sembra lunga e insormontabile, in realtà è un’illusione ottica) e ricongiunto con Francesco ci siamo apprestati a scoprire nuove meraviglie. Ma ecco, l’ultima sorpresa.

Il sindaco ci ha portato in un forno storico del luogo, il Panificio del Barone, dove la gentile signora Anna Maria ci ha offerto un prodotto creato da lei: il pane porchettato, un pane lievitato con la porchetta dentro. Un’esplosione di gusto e una genialità culinaria.
Roccascalegna ci ha lasciato tanto: cibo, cultura, tradizione, e leggende.
E, una volta in macchina, ho sentito il gracchiare strano di un corvo in lontananza: segno che il Barone De Corvis aleggia tuttora per accogliere i visitatori del suo maestoso e splendido castello.
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