LA LEGGENDA DEL SANTO BAMBINO
DIARIO DI VIAGGIO 7. LAMA DEI PELIGNI.

Dopo aver visitato Castelli e musei particolari, io e Francesco ci siamo messi in viaggio verso Lama dei Peligni, Comune di 1155 abitanti della provincia di Chieti, per visitare due luoghi pieni di fascino : Le Gole di San Martino ( sono gole che si aprono con uno stretto passaggio dalle alti pareti rocciose, un pò fuori da Fara San Martino. Secondo la tradizione popolare, sono state aperte dal Santo per permettere ai pastori di accedere ai pascoli della Majella) e le Grotte del Cavallone ( la grotta turistica più alta d’Europa, famosa anche per esser stata protagonista del testo teatrale ” La figlia di Iorio” di G. D’Annunzio). Purtroppo, entrambe queste meraviglie erano chiuse per lavori. Ci siamo promessi di ritornare a visitarle, e dopo aver preso appuntamento con il gentilissimo Assessore Tiziana Di Renzo ( che ringraziamo per la cortesia, la simpatia e la totale disponibilità) siamo andati a visitare il piccolo Comune, ben sapendo che ci avrebbe fatto conoscere nuove storie straordinarie.
LA LEGGENDA DEL SANTO BAMBINO.
Dopo aver ammirato uno straordinario Belvedere adiacente al Municipio, sono entrato nella Chiesa principale della città, la Chiesa parrocchiale di Gesù Bambino. Sita in piazza Umberto I, è un edificio originale del XVI sec., come si può notare dall’epigrafe del campanile datata 1589. Durante il Settecento vennero aggiunte due finestre per far entrare la luce all’interno. La Chiesa è magnifica, risalta un organo a canne del XVII sec e in entrambe le navate sono posti simboli e statue di pregevole fattura. In fondo alla navata centrale, a sinistra, è possibile osservare un pulpito in legno contenente raffigurazioni della vita del Cristo. E dietro l’altare, mi sono inbattuto nell’urna del Santo Bambino, con il tabernacolo sotto di esso. Forse adatta alla rubrica ” Nostra Terra dei misteri“, anche questa statua ha una leggenda dietro articolata e affascinante.

1748. Un frate laico originario di Lama dei Peligni, frà Pietro Silvestri, partì per Gerusalemme dove si stabilì per dodici anni, tempo ritenuto necessario dall’ordine monastico per adempiere al mandato missionario. Prima di ripartire dalla Terra Santa, il religioso andò ad ordinare un Bambinello da riportare nella sua terra d’origine ( era usanza dell’epoca riportare bambinelli a grandezza naturale che potessero essere benedetti a Betlemme o Gerusalemme). Lo vollè di cera, rispetto al legno che era tipico dell’epoca, ma il primo tentativo da parte dell’artigiano non piacque ad entrambi. Costui plasmò un secondo corpo, ripromettendosi di aggiungere la testa il giorno successivo.
Quando si svegliò, con immenso stupore, vide che la testa e il viso del Bambino erano stati plasmati durante la notte da mani ignote. La leggenda volle che gli scultori fossero angeli: anche perchè il viso era talmente bello che colui che benedì la statua rimase impressionato dalla straordinaria somiglianza ( anche oggi il bambino viene definito acheropita, cioè non fatto da mano d’uomo). Il frate, dopo mille ostacoli e miracoli fatti dalla statua ( come la guarigione di una malata veneziana, che in segno di gratitudine volle ricompensare il frate donandogli un vestitino e una cuffia da neonato in seta ed oro, insieme ad alcune collane preziose), ritornò in Lama dove fu accolto festosamente. Da allora, il Bambino è oggetto di grande devozione nella città, e continuò ad operare miracoli, alcuni non divulgati apertamente: nel 1854, ad esempio, il paese scampò ad una epidemia di colera, e durante l’ultima guerra mondiale, i tedeschi volevano impossessarsi della statua ma stranamente non entrarono in Chiesa.
Per coniugare misteri e scienza, dopo aver fatto un gustoso aperitivo con l’assessore, io e Francesco ci siamo mossi verso un altro tesoro di questo borgo: il museo naturalistico.
(Tutte le informazioni sulla legenda sono state tratte dal volume “Il Santo Bambino di Lama dei Peligni – Domenico De Simone”)
FRATELLI DI UN ALTRO TEMPO

Grazie alle due guide all’interno della Struttura, abbiamo ammirato, oltre a riproduzioni di fauna locale, una collezione preziosa di reperti archeologici rivenuti nel territorio di Lama e dei comuni limitrofi. Organizzati perfettamente in vetrine, i materiali permettono di effettuare un viaggio a ritroso nel tempo, partendo dal Medioevo fino ad arrivare alla Preistoria. Qui di seguito un riassunto dei reperti visionati, divisi per vetrine.
1 vetrina. Frammenti di ceramica di epoca medievale, come olle e tegami da cucina sui quali sono evidenti i segni di tracce lasciate dal fuoco.
2 vetrina. Reperti romani. Tra i tanti oggetti, ci sono due lucerne di tipo ” firmalampen” ( cioè che portavano impresse il nome del costruttore. In questo caso, OCTAVI), una coppa di colore verde decorata a rilievo con motivi faunistici e floreali, sicuramente destinata ai banchetti delle grandi occasioni, monete che rappresentano il circolante quotidiano del III – Iv sec. d. C. dell’età dei Severi. In questo primo spazio espositivo è anche presente il lapidario, un frammento di altare e tre stele che permettono di ricreare aspetti storici e sociali della vita romana dell’epoca.
3 vetrina. Oggetti dell’età del ferro, come fibule, cinturoni di bronzo, punte di lancia. Importante è un bronzetto raffigurante Ercole con la pelle di leone e un arco lunato.

4 vetrina. Oggetti dell’età del rame e del ferro: pendagli a doppia spirale in bronzo, materiale in ceramica. Interessante è un grosso disco in bronzo relativo ad una fibula da parata.
5 vetrina. Sono presenti le illustrazioni degli scavi del villaggio neolitico di Fonterossi. Di particolare interesse frammenti di intonaco di capanna, ocra ed esemplari di ceramica impressa.
6 vetrina. A mio parere, il reperto più interessante. Il calco del cosiddetto “Uomo della Maiella”, il cui originale è conservato presso il Dipartimento di Antropologia dell’Università La Sapienza di Roma. Si tratta di un cranio femminile datato 5480 a. C..
7 vetrina. Utensili in pietra che permettono di ricostruire la vita dei cacciatori dell’epoca.
8 vetrina. Resti faunistici rinvenuti nella zona: animali che in molti casi si sono estinti. Esempi sono l’Ursus spaeleus, un orso di notevoli dimensioni ma erbivoro, l’uro, un grosso bovino della Preistoria, e il leone delle caverne. Ho notato anche, con sorpresa, resti di rinoceronti.
Questa giornata si è conclusa, io e Francesco rientriamo in sede. Dopo aver salutato Francesca Tantalo, ringraziandola per la cortesia, sulla via del ritorno non ho potuto non pensare a quanti tesori abbiamo, alcuni più conosciuti molti altri meno, e quanta amore e passione mettano alcuni abruzzesi nel preservarli. Come in questo caso, cercando di tramandare gli usi e i resti dei nostri avi, dei nostri fratelli senza tempo.
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